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Il tarantismo e la pizzica salentina

Il 29 giugno si svolgeva a Galatina, (Lecce), nella cappella di San Paolo, il rito di guarigione dei tarantolati in cui la musica ed il ballo erano protagonisti di un fenomeno culturale dalle radici storiche fortemente radicate nella tradizione salentina.
Quest'evento sembra che derivasse dagli antichi riti dionisiaci o da quelli magici pagani di possessione, molto diffusi in Puglia.
Dal seicento in poi si trovano interpretazioni mediche del tarantismo, una malattia da ricondursi ad una sindrome tossica provocata dal morso di aracnide. Non è chiaro, ad oggi, a quale dei due tipi di ragno più diffusi nel Salente, risalissero gli effetti del tarantismo, se cioè alla Lycosa tarentula o al Latrodectus guttatus. La prima, vive nei campi in cunicoli sotterranei, nascosta durante il giorno uscendo raramente allo scoperto, di notte poi si allontana dalla tana alla ricerca del cibo e morde la vittima in modo veloce ed aggressivo e il suo veleno produce soprattutto reazioni di tipo locale. Il secondo, poco vistoso, lento, tesse una tela irregolare ma tenace, alla base di sterpi ed erbe attendendo che qualche insetto vi si impigli, non vaga alla ricerca di cibo, non insegue la vittima, ma l'attende pazientemente al centro della tela, il suo morso può passare momentaneamente inosservato, ma da sintomi generali molto gravi.

L'antropologo Ernesto De Martino ne La terra del rimorso pubblicò il primo studio sul tarantismo analizzando l'aspetto storico-folcloristico e religioso del simbolismo della tarantola, il ragno che morde e avvelena.
Negli anni 1959-61 attraverso l'indagine etnografica di De Martino e della sua équipe (l'etnomusicologo Diego Carpitella, lo psichiatra Giovanni Jervis, il fotografo Franco Pinna), si comprese la natura del tarantismo secondo una chiave interpretativa di tipo antropologico, cogliendo nella cura terapeutica della musica e dei colori uno schema, tramandato nei secoli, di soluzione delle crisi che non avevano niente a che fare con l'avvelenamento reale del ragno.
Tarantola, morso, veleno avevano infatti un significato puramente simbolico di evocazione, di deflusso e di risoluzione dei conflitti psichici individuali che rimordono nell'oscurità dell'inconscio.
Come De Martino scrive: Il simbolo della taranta presta figura all'informe, ritmo e melodia al silenzio minaccioso, colore all'incolore, in un'assidua ricerca di passioni articolate e distinte lì dove si alternano l'agitazione senza orizzonte e la depressione che isola e chiude: offre una prospettiva per immaginare, ascoltare, guardare, ciò per cui si è senza immaginazione, sordi, ciechi e che tuttavia chiede perentoriamente di essere immaginato, ascoltato, visto. (1)

La tradizione folcloristica sostiene che i Santi Pietro e Paolo sostarono a Galatina durante il loro viaggio di evangelizzazione e San Paolo riconoscente per l'ospitalità ricevuta da un abitante del paese, diede a costui ed ai suoi discendenti, il potere di guarire coloro che fossero stati morsi da animali velenosi. La cappella di San Paolo fu costruita nel luogo dove il santo avrebbe trovato ospitalità, nella cui sacrestia sorgeva un pozzo, la cui acqua benefica avrebbe curato i tarantolati. Durante il rito di guarigione la musica suonava a ritmo frenetico e il morsicato, quasi sempre donna, si dimenava per terra.
Poi beveva l'acqua, avendo cura di non guardare il fondo, fino a vomitarla tutta nel pozzo stesso dal quale sarebbero emersi dei serpenti. I rettili cercavano di raggiungere il tarantolato che prontamente chiudeva l'imboccatura con un coperchio e poi colto da una terribile debolezza, cadeva a terra stremato. Col tempo la falda acquifera si è inaridita e dal 1959 il pozzo è stato murato per motivi igienici.

Il mito narra che in estate, quando i campi non avevano sistemi d'irrigazione e l'agricoltura esigeva la presenza di braccia, uomini e donne venivano ingaggiati con salari da fame, era proprio in questa stagione di pieno lavoro agricolo che molto spesso i braccianti subivano il morso di un ragno: la Tarantola.
Nello studio di De Martino questo fenomeno mostra una precisa distribuzione di luogo, (il Salento), di tempo (la stagione estiva), di sesso (la prevalenza femminile) e che i condizionamenti familiari erano spesso causa delle crisi.
Il primo morso ipotetico avveniva in genere tra gli inizi della pubertà e la fine dell'età evolutiva, una epoca complessa e difficile per lo sviluppo psicologico dell'individuo e si ripresentava ad ogni stagione estiva, dimostrando il carattere simbolico del tarantismo.
Il simbolismo della stagione estiva, invece derivava dall'importanza che la società contadina attribuiva all'epoca del raccolto, un momento di alta tensione sociale in cui si "colmavano i granai e le celle vinarie, si pagavano i debiti e gli animi misuravano la forza ed i limiti della fatica umana" (2) Per analogia ciò significava anche avere la possibilità di pagare quei debiti esistenziali accumulati nel fondo dell'anima.

Nei secoli l'influenza della religione cattolica e le mutate condizioni sociali ed economiche, hanno profondamente impoverito il tarantismo nel suo carattere culturale. Oltre alla musica e alla danza facevano parte dell'esorcismo terapeutico oggetti come piante: menta, ruta, basilico, oppure drappi e nastri variopinti.
Il morsicato/a nel rito sceglieva un colore e prediligeva un profumo, sui cui fissava le proprie ambivalenze e attraverso i quali faceva defluire amore o odio, manìa o melanconia.
A questo proposito si nota che il significato dei colori nel tarantismo richiama, per analogia, il simbolismo medievale degli stessi, nel quale, per esempio il verde rappresentava una natura risvegliata e quindi un amore nuovo, oppure il rosso riconduceva all'agonismo, all'aggressività e al furore. La musica apriva la ritualità vera e propria del tarantismo con l'esecuzione della pizzica. Con essa si procedeva all'imitazione del comportamento dell'avvelenato: i tarantolati dicevano di sentirsi spezzati, schiantati, sminuzzati, rotti, oppure lesi o annoiati. La forma estrema di questa imitazione era la caduta improvvisa al suolo del soggetto che appariva moribondo o addirittura morto.

Nel mito il ragno sensibile alla musica e alla danza, mostrava affinità per questa o quella melodia e comunicava ai morsicati tale elettività, così che i suonatori per individuare la danza guaritrice, dovevano per tentativi intonare la melodia adatta al caso, cioè quella che legava simpateticamente tarantola-ragno e tarantolato.

Colui che danzava si portava in mezzo ai suonatori, mostrando un particolare legame elettivo con questo o quello strumento ( es. col tamburello o col violino) mentre il ritmo incantava, leniva, risanava.
Delle volte si accompagnavano agli strumenti, canti tradizionali che evocavano le crisi esistenziali, come per esempio il lamento funebre, collegato ad una componente di depressione ansiosa legata ad una crisi di cordoglio.
Il simbolismo coreutico musicale conferiva ai suonatori il ruolo di esorcisti, medici e artisti; infatti dal loro intervento e dalla loro abilità dipendeva il successo dell'esplorazione musicale e quindi della cura adatta con la ricerca della giusta melodia.Il rito terapeutico si svolgeva nell'abitazione dei tarantolati, nei vicoli ciechi dei paesi o nelle aie delle case rurali, i "pizzicati" entravano in uno stato di incoscienza e ballavano per ore ed ore.

La pizzica, ancora oggi, è eseguita da una piccolo insieme di strumenti: il tamburello, la chitarra, il violino, la fisarmonica; è una sorta di etnomedicina capace di liberare l'energia e alleggerire le oppressioni della vita; il morso del ragno è il simbolo di una frustrazione psichica ed espressione di una condizione pressante di tipo economico, sociale o sessuale.

L'origine di questo tipo di tarantella si fa risalire al 1400 e si distinguono tre tipologie di danza:
Pizzica tarantata, la più conosciuta, che prende origine dal rito di San Paolo in Galatina, in passato legata all'isteria femminile, perché dava orizzonte a crisi di tipo sessuale: le donne danzavano furiose e frenetiche per liberarsi dal male.
L'ultima testimonianza riportata dalla cronaca risale al 29 giugno 1993 con l'esibizione eseguita da un'anziana tarantolata che ha rinnovato il mito per 26 anni.

Pizzica pizzica detta anche pizzica scherma che si danza nella notte tra il 15 e il 16 agosto durante la festa di San Rocco a Torrepaduli presso Ruffano (Le) nella quale il mito evocato assume la forma di duello rusticano. Anticamente ballata con i coltelli è una pantomima dei rapporti conflittuali e dei regolamenti di conti tra uomini appartenenti alle famiglie d'onore che risolvevano le controversie direttamente tra loro.
Oggi i coltelli sono sostituiti dalle dita, l'indice e il medio protesi come armi che sfilano fendenti mentre i corpi sinuosi si destreggiano nel combattimento con la mimica della provocazione, dell'attacco, della difesa e del colpo.

Pizzica de core eseguita da uomo e donna che miniano la seduzione con sguardi e gestualità. E' una pizzica saltata dalla coppia, espressione di gioia ed entusiasmo, anche collettivo, perché legata ai sentimenti d'amore. Il tamburello è lo strumento principale di tutte le pizziche, una musica che rimane fedele all'antico rituale per ossessività e ripetitività.
Coloro che assistono si dispongono in cerchio attorno ai danzatori, formando la ronda, battono le mani seguendo il ritmo, dapprima lento, poi più veloce fino a diventare frenetico.

La danza e la musica, linguaggio comune a tutti i popoli, sono una forma d'arte che esprime i più intimi sentimenti umani.

Nel Salento il ritorno della pizzica non è considerato solo una sorta di folclore o una tradizione mantenuta in vita ad uso e consumo del turismo, è soprattutto un canale attraverso cui si esprime tuttora la sensibilità della gente salentina, è energia musicale della pizzica, è creatività, è ispirazione.

In una breve intervista abbiamo chiesto all'Assessore alla Cultura del Comune di Galatina, Luigi Rossetti, di illustrarci come oggi il paese vive questo fenomeno culturale

D.- Quanto è presente oggi la pizzica nella tradizione salentina? Ci sono occasioni in cui ancora si balla e si suona al ritmo di questa musica?
R.- Negli ultimi decenni c'è stato un rifiorire di gruppi che praticano il ballo della pizzica animando le feste, le sagre e tutte le occasioni di ricorrenze. E' un revival straordinario avvenuto grazie anche ai giovani, autentici divulgatori di questa tradizione.

D.- A cosa si può attribuire il ritorno oggi di questo genere musicale?
R.- Ci sono più fattori che hanno contribuito alla sua riscoperta. Prima di tutto il bisogno di un ritorno alle proprie tradizioni, un desiderio legato alla necessità di valorizzare ciò che intimamente ci appartiene e che nel passato è stato fin troppo trascurato. Questo anche perché la pizzica era legata al tarantismo, un fenomeno considerato retrogrado e che metteva in evidenza un aspetto poco qualificante della vita sociale contadina, inducendo così una rimozione vera e propria. In secondo luogo perché questa musica ha un ritmo che accende, che muove dall'interno, spingendo alla partecipazione.

D.- Il turismo può aver aiutato in qualche modo la conoscenza e la diffusione della pizzica non solo nel nostro paese?
R.- Certamente. Fa riflettere il fatto che oggi ci sia tanto interesse sull'argomento anche al di fuori dei confini del Salente e dell'Italia, questo perché la pizzica è nata come musica terapeutica. Osserviamo per esempio alcune popolazione degli stati che si affacciano sulle coste del Mediterraneo e che utilizzano la musica per raggiungere lo stato di trance come terapia dei mali che affliggono l'uomo. Oppure pensiamo al parallelismo che è stato rilevato tra le movenze dei giovani che si esibiscono nelle discoteche, ballando per ore a ritmi ossessivi ripetono le gestualità dei danzatori di pizzica. La musica, dunque, continua ad avere un effetto benefico, come valvola di sfogo interiore.

D.- Il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo, era il giorno in cui le tarantate delle zone limitrofe convenivano a Galatina per il rito di guarigione. Oggi come viene celebrata questa festività?
R.- Il 28 sera si svolge la processione e il 29 e 30 la festa patronale. Naturalmente non esiste più il rito delle tarantate, anche se un certo tipo di turismo ha interesse a rievocarlo e rappresentarlo. Io personalmente non condivido quest'idea, perché il ballo della taranta non era uno spettacolo, ma il segno di un dolore e di un disagio. Era legato ad una situazione psicologica in cui viveva gran parte delle donne, costrette da una società che le discriminava e le relegava ai ruoli domestici, di madri e contadine. Infatti, le condizioni di repressione e di sottomissione costringevano le personalità più fragili o particolarmente vessate, a ricorrere a questa forma di sfogo e di esternazione di un "non male" che non aveva altre possibilità di espressione. Noi, al contrario, come amministrazione comunale stiamo dando un taglio diverso alla simbologia folcloristica, privilegiando l'aspetto scientifico del fenomeno.

D.- Quali sono le iniziative del comune di Galatina a questo proposito?
R.- Abbiamo in programma, quest'anno, un convegno internazionale che segue quello del 1998 in cui si ricordarono i 40 anni della spedizione di Ernesto De Martino nel Salento. 11 21, 22, 23 giugno sono previsti tre giorni di studio su Diego Carpitella, l'etnomusicologo che accompagnò De Martino nella storica indagine etnografica. Il nostro intento è favorire la ricerca e, questa volta, affronteremo l'aspetto musicologico del fenomeno. Da fine giugno ai primi di luglio ci sarà anche un corso, tenuto dall'associazione "La Taranta", (che pubblica la rivista "Choreola") che fa capo al prof. Giuseppe Gala, di danza etnica per docenti a carattere di ricerca e di studio.
Ringraziamo l'Assessore alla Cultura Luigi Rossetti e i suoi collaboratori che ci hanno fornito le immagini per illustrare l'articolo. I dipinti sono dell'artista Luigi Caiuli che ha dedicato un intero ciclo pittorico al fenomeno delle tarantate. La collezione completa è stata donata da Caiuli al Comune di Galatina.

Patrizia Lungonelli

Bibliografia
Ernesto De Martino: La terra del rimorso (il Saggiatore, 1996)(1) pag. 63 (2) pag.15
Ernesto De Martino: Sud e magia (Feltrinelli, 2000).
Ernesto De Martino: II mondo magico (Bollati Boringhieri, 2000).
Ernesto De Martino: Morte e pianto rituale nel mondo antico (Bollati Boringhieri, 2000).
Dino Provenzali: Usanze e tradizioni del meridione d'Italia" (Adelmo Polla Editore, 2000).

Alcune segnalazioni bibliografiche
Atti del convegno Galatina 24-25.10.1998: Quarant'anni dopo De Martino. Il tarantismo. II tomi con tavole a colori fuori testo della mostra di pittura di Luigi Caiul.
Melissi. Le culture popolari, semestrale dell'Istituto Diego Carpitella. (luglio 2000).
Choreola. Semestrale di Etnocoreologia e tradizioni popolari (fondata nel 1990)
Annabella Rossi: Lettere da una tarantata. Nota linguistica di Tullio De Mauro (De Donato Editore, Bari, 1970 - Nuova edizione di Paolo Apolito, Argo, Lecce, 1994).
Annabella Rossi: E il mondo si fece giallo. Il tarantismo in Campania. (Jaca Book - Qualecultura, Vibo Valentia, 1991)